Entelechia

«Il rifinanziamento della legge regionale 16/2009 ‘Cittadinanza di genere’ – dichiara l’assessora regionale all’Istruzione e alle Pari Opportunità Alessandra Nardini – era una impegno che ci eravamo presi in questa legislatura perché crediamo fermamente che combattere e prevenire discriminazioni e disuguaglianze di genere, fino al drammatico fenomeno della violenza contro le donne, in tutte le forme in cui essa si manifesta, sia un preciso dovere delle istituzioni”. “Se vogliamo farlo concretamente – aggiunge – dobbiamo partire dall’educazione, dal rimuovere pregiudizi, destrutturare stereotipi e ruoli di genere. Dobbiamo, dunque, cambiare la cultura del nostro Paese, della nostra società, superando quel rapporto storicamente diseguale tra donne e uomini e sconfiggendo il patriarcato che, al netto di quello che alcuni dicono, esiste ancora, eccome».

Le parole non sono mai fine a se stesse. Oggi, forse più mai, stiamo assistendo ad un attacco globale alla società, alla cultura e alle tradizioni del nostro paese che passa molto spesso sotto traccia all’interno di tematiche “sensibili” come quelle della violenza, dei “diritti” e delle varie “autodeterminazioni”. Non è un caso che Aristotele abbia posto alla base della propria filosofia lo studio del linguaggio e che l’analisi dello stesso e la “Logica”  fossero lo “Strumento” per provare a leggere e interpretare il mondo sensibile, la società, l’organizzazione politica e anche l’esistenza di Dio.  Le parole non si usano a caso. Sta a noi vedere, seguendo ancora il nostro Aristotele, cosa portando dentro di sé in “potenza” per poter provare ad interpretare i loro effetti, le “azioni” che queste possano causare.  

Il fatto stesso che ci venga il dubbio se scrivere assessora o assessore ci pone davanti agli occhi uno degli “effetti collaterali” della pressione fatta sulla “psicologia delle masse” da parte di chi da diversi anni ha instillato nelle propria visione politica una grammatica sottile, ma chiara, fatta di parole altrettanto evocative che abbiamo voluto evidenziare sopra. Educare, rimuovere, destrutturare, cambiare la cultura del Paese e della nostra società, sconfiggere il patriarcato. In potenza queste parole ci parlano di un programma politico definito e che riecheggia, se vogliamo anche paradossalmente, in un passato neanche tanto remoto. Si vuole creare un “uomo nuovo” o meglio “un* person* nuov*” per mezzo dello strumento più semplice e “caro” ad ogni gruppo di individui che pensa di avere un “principio salvifico assoluto” nella propria visione del mondo che deve essere ad ogni costo forzata per mezzo di uno degli strumenti più “monopolistici”: la scuola. Ancora oggi si deride l’imposizione del “Voi” l’utilizzo di termini bizzarri come “polibibita” per non usare parole anglofone ma in fin dei conti questi strumenti che oggi appaiono quasi grotteschi non erano altro che piccoli tratti di una visione ben più ampia della Stato. E non è un caso che 1929 il Ministero della Pubblica Istruzione cambiò nome in Ministero dell’Educazione Nazionale. Certo è che la visione idealistica dello “Stato etico” che Gentile riprende da Hegel e mutua dallo “Stato educatore” di Mazzini non si può certo equipare alle attuali dottrine del “genere” o del “gender”. Ma in fondo, quello che troviamo in controluce nel discorso “della persona che ricopre la carica di assessore” con cui abbiamo aperto questo articolo non è altro che il sintomo della volontà di instaurare davvero un nuovo “Stato etico fluido”. Questo anche per mezzo di una“polizia etica”, a capo della quale abbiamo molti “illuminati liberal” che stanno tentando di imporre a suon di finanziamenti e truppe di “squadre” più o meno “arcobaleno”, armate con il potere dato dalle “cattedre”,  questa loro “visione del mondo”. Qui non si tratta di “combattere la violenza contro le donne” ma di educare, destrutturare, cambiare e di conseguenza condizionare delle giovani menti per provare a instillare non tanto dei concetti “universali” di pace, “libertà, uguaglianza, fraternità e tolleranza” (i quali poi non ci danno certo la sicurezza di una società costruita su tali principi, ma anzi, ci hanno dato fino ad oggi, non a caso, solo le degenerazione delle stragi del 1793 fatte dal governo francese del Terrore di Robespierre, Saint-Just e Couthon) ma la vera e completa destrutturazione del “nostro mondo” a partire dagli individui più deboli e indifesi in un constesto docente-discente totalmente squilibrato. 

Se la scuola educa e non istruisce dobbiamo necessariamente analizzare in profondità prima di tutto la scelta di voler porre questa istituzione in una modalità “etica”. Dal momento in cui uno degli obiettivi che i fautori del corso “dell* person* nuov*” è proprio quello di distruggere i valori comuni che hanno legato in senso civico e spirituale gli italiani e la Nazione, l’unico modo per opporci a questa visione è quella di far risuonare le corde interiori che realmente suonano dentro di noi e semplicemente rappresentano l’ovvio.  La violenza è violenza prima ancora di essere “di genere” . Il rispetto si insegna all’interno di una comunità che ha dei valori comuni che devono essere protetti, valorizzati e tramandati. L’uguaglianza è vera all’interno delle funzioni sociali che mettono l’individuo e le sue scelte  in un contesto in cui tutti siamo legati uno all’altro non solo in senso “circolare” ma anche in senso “verticale” e “orizzontale” nello spazio e nel tempo. E questi legami molteplici ci stringono uno all’altro attorno a dei valori condivisi che continuano a sussistere in quelle cellule fondamentali del vivere sociale: la famiglia, la prima “comunità politica” della città e la Nazione. Oggi si sta tentando di distruggere la lingua, per distruggere tutto il resto. Non possiamo quindi rimanere inerti davanti a tutto questo ma abbiamo la responsabilità civile e sì, etica, non solo di opporsi a tutto questo, ma di essere testimoni veri e propositivi della bellezza e della rivoluzione continua data dall’essere conservatori e sociali. Mantenere nel tempo ciò che ci ha unito nel tempo: difendere la lingua, il territorio, la terra, le arti, i mestieri, l’ingegno, l’estro, la diversità al servizio della realizzazione di sé per la soddisfazione personale  e il contributo sociale dato alla propria famiglia, alla propria comunità, alla propria Nazione: al prossimo, proprio la persona che ci sta accanto in fabbrica o in ufficio, ai suoi figli, ai figli dei suoi figli nel solco fatto dai nostri nonni e dai nonni dei nostri nonni. Questa è ciò che siamo e che dobbiamo difendere ogni giorno prima che sia troppo tardi.

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