Scontiamo una serie infinita di scelte progettuali sbagliate, in tema Sanità, sia sul nostro territorio Pratese che in tutta la regione. Le scelte progettuali errate si pagano sempre nel tempo in maniera esponenziale.
Per avere un quadro completo, occorre partire dal “peccato originale”, o almeno da uno di essi.
Abbiamo sempre detto che il Nuovo Ospedale di Prato era troppo piccolo, conta infatti 540 posti letto in degenza (dati ASL).
Chi era fra i “trogloditi” di Enrico Rossi, ricorderà bene quanto, prima dell’inaugurazione, avevamo sottolineato le carenze della nuova struttura. Carenze strutturali, carenze di capienza, zona ad alto rischio inondazione. È triste vedere che queste profezie si sono già tutte avverate.
Tornando ai numeri, il “vecchio” Misericordia e Dolce, progettato e costruito negli anni 40’, già negli anni 60’, ovvero appena a 20 anni di età, contava 550 posti letto in degenza, 10 in più di quelli nominali del nuovo ospedale nel 2013. Prova ne sia che il nuovo nosocomio non ha fatto nemmeno in tempo a spengere le prime 10 candeline (settembre 2013 – luglio 2023), che ci siamo visti arrivare la delegazione di quelli “bravi” per la posa della prima pietra della palazzina da 110 posti letto. Posa presentata in pompa magna con grandi pacche sulle spalle; per un ospedale 10 anni significa non essere entrato nemmeno nella pubertà. Si tenga bene a mente che quando arriverà l’inaugurazione e verrà anch’essa presentata come una grande conquista, arriveremo comunque a 650 posti letto in degenza, che sono solo 100 posti letto in più di quanti ne aveva il MeD negli anni 60’. Quindi, per le menti geniali che avevano prima pensato il nuovo ospedale e successivamente immaginato anche la nuova palazzina, Prato dagli anni 60’ ai giorni nostri è cresciuta così poco da meritarsi solo 100 posti letto in più.
Forse non tutti sanno altresì che il nuovo ospedale, inizialmente, era stato presentato come a Intensità di cura.
Senza scendere troppo nel dettaglio, l’intensità di cura è una impostazione ospedaliera che prevede l’abolizione delle canoniche Unità Operative a specialità verso una suddivisione per gravità e intensità di trattamento. Concezione che è stata in voga in Europa nei primi anni 2000. A Prato l’avevano presentata come grande innovazione, nel 2013; non avevano detto però che uno fra i migliori ospedali del mondo, il Karolinska Universitetssjukhuset di Stoccolma, non solo il migliore d’Europa ma sicuramente di rilevanza mondiale, l’aveva testata e abbandonata da almeno un paio di anni, nel 2011. Come avrete potuto notare, oggi l’ospedale di Prato non è a intensità di cura, ma anche su questo tema avevano spettacolarizzato l’aria fritta, con tanto di fuga di qualche eccellenza dal nostro territorio.
Non solo. L’impostazione a intensità di cura prevedeva, per definizione, la presenza sul territorio di cure intermedie. Se siamo bravi, come lo siamo in Toscana, a curare il malato nella fase acuta, questo poi richiede delle cure successive, e spesso tende a cronicizzarsi. Da noi era stata presentata l’intensità di cura zoppa: un ospedale dedicato ma senza cure intermedie, glissando con il solito “si vedrà”.